Parco Nazionale del Gran Paradiso

Rifugio Vittorio Sella e Col della Rossa.
Nel cuore del parco più antico d'Italia, una lunga salita su storici sentieri che risalgono al tempo dei Re d'Italia, respirando emozioni di montagna dura, di veri massicci; tocchiamo un rifugio che nacque come casa di caccia dei Re e poi una sella, la cima era lì accanto, oltre i 3000. Panorami grandiosi e ad avere gamba e tempo quello che si poteva ancora fare era molto di più di quello salito.


Seconda giornata nel più antico parco naturale d’Italia, vogliamo raggiungere il rifugio Vittorio Sella, quello che era una delle antiche case di caccia del Re d’Italia Vittorio Emanuele II. Credo sia curioso e per questo che valga la pena riportare due note sulle origini di questo rifugio: Il re nel 1850, coinvolto dal fratello, il Duca di Genova, inizia a frequentare queste montagne con frequenti battute di caccia, la passione crescente insieme alla scomodità delle batture stesse non che l’ottenimento da parte dei comuni che detenevano le proprietà sui territori della concessione esclusiva dell’esercizio della caccia portarono al concepimento di un grandioso progetto che portò tra il 1861 e il 1864 alla costruzione di 300 km di sentieri tra ampie carrarecce e mulattiere e di cinque case di caccia, una di queste appunto quella di Lauson, la valle dove sorge il Vittorio Sella. Come diventa il Vittorio Sella però? Le proprietà e le concessioni passarono di mano, prima al figlio Umberto I che ne continuò la tradizione con la stessa passione e poi a Vittorio Emanuele III che invece manifestò davvero poco interesse tanto che il 1913 segnò l’ultima delle poche avventure venatorie che vi trascorse. Nel 1920 avvennero due episodi importanti per questo territorio, Vittorio Emanuele III prima donò la sua riserva di 2100 ettari allo stato italiano, creando di fatto i presupposti per creare il primo nucleo del Parco Nazionale (che si costituirà ufficialmente due anni più tardi, il 3 Dicembre del 1922) poi cedette la casa di caccia del Lauson all’allora presedente del CAI di Biella, Emilio Gallo, il quale dopo averla acquistata la donò alla sezione stessa, la volle dedicare a Vittorio Sella, famosissimo fotografo, alpinista, esploratore biellese, nipote del più famoso Quintino, ministro delle finanze e fondatore del Club Alpino Italiano. Molto importante è stata la frequentazione del territorio da parte dei Re d’Italia, soprattutto la successiva concessione esclusiva dello stesso, portò in quegli anni alla sparizione del bracconaggio e contemporaneamente all’esplosione della selvaggina, in particolare degli stambecchi, oggi simbolo del parco stesso. Dalle questioni di una famiglia reale è nato il primo Parco naturale italiano, ancora oggi un gioiello naturalistico di prim’ordine. Oggi viaggeremo quindi per alcune di quelle mulattiere tracciate più di centocinquanta anni fa, e saperlo fa già la differenza; attraversiamo il ponte sul torrente proprio di fronte al piccolo borgo di Valnontey, saliamo il breve tratto di strada fino a raggiungere l’albergo Paradisia da dove parte, proprio lì accanto, il sentiero che prima costeggia il giardino botanico alpino e poi prende ad inoltrarsi verso la cascata del Lauson per inerpicarsi subito dopo con lunghi traversi e stretti tornanti sui ripidi versanti rocciosi ricoperti di larici. Il sentiero è largo, battuto e protetto da muri a secco sui tornanti dove il versante scende ripido, la manutenzione deve essere enorme, incontreremo degli operai più avanti intenti a piazzare grosse lastre per facilitare il percorso in un tratto ripido. Il fragore della cascata anticipa il ponte che oltrepassa il Lauson (+50 min.) dopo di che il sentiero si fa più stretto e inizia ad inerpicarsi con maggior decisione. Tra tornanti stretti e affacci sulla valle raggiungiamo l’alpeggio abbandonato e in rovina di Pascieux (+30 min.), si sfiorano già i 2000 m. quando ci troviamo su una piattaforma panoramica, una posizione meravigliosa, sul fronte opposto della valle individuiamo il Plan della Turnetta che abbiamo raggiunto ieri ma non il sentiero per raggiungerlo che fila bello nascosto tra i larici. Sempre in salita, superiamo una fontana e con qualche traverso scavalliamo la dorsale per rientrare dentro il vallone del Lauson, più stretto e solcato in fondo dall’omonimo torrente; in lontananza, dopo una lunga discesa si intravede già un secondo piccolo ponticello che ci reimmette sul versante opposto dove “terrorizza” una spirale ripidissima che altro non è se non la traccia per raggiungere la quota del rifugio. L’infrastruttura, non saprei come altro definirla, che si avvicina al ponte è qualcosa di più di un sentiero di montagna, un lastricato di sottili pietre rubate alla montagna lì accanto accompagna fino al ponte (+40 min.), muretto a secco per limitare il tracciato di una precisione geometrica fuori dal comune, sembra di stare in un parco cittadino invece che a 2000m, molto scenografico, forse un po’ troppo anche per il più antico parco naturale d’Italia. Il ponte è appoggiato su grossi e basamenti in pietra, tutto molto preciso, un’opera sicuramente importante e robusta costruita per durare e resistere la furia del torrente ma decisamente un po’ fuori dal contesto. Oltre il ponte il sentiero inizia ad inerpicarsi su frequenti tornanti, recuperiamo quota facilmente a scapito del respiro che si fa affannoso e corto. Quando si appiana, aggirando il versante con un lungo traverso ci avviciniamo lentamente al centro della valle ormai alta e al torrente, superata una altura sfioriamo l’alpeggio del Gran Lauson, una bella struttura al di là del corso d’acqua, rimessa a nuovo e abitata, una posizione invidiabile per passare qualche momento di beata solitudine. Rimane poco per raggiungere il rifugio Sella, superato l’alpeggio, una serie di ulteriori tornanti, questa volta repentini e brevi, ci introduce nella più dolce parte alta del Lauson, gli orizzonti si allungano fino alle scure creste su in alto, fino al passo del Lauson che permette, se raggiunto, di scendere verso la Valsavaranche. Il casotto del Parco è la prima struttura a comparire, nasconde alla vista il rifugio Sella (+50min.) che è subito alle sue spalle. Davvero bello e in posizione splendida ai piedi dell’altopiano del Lauson, due lunghe strutture a due piani che corrono parallele una di fronte all’altra, una delle due ad essere precisi si tratta del rifugio invernale Gianluca Perugini. Il tempo di una sosta per un caffè e ripartiamo ancora senza una meta precisa, il primo tratto di sentiero in comune poi quando sarà il momento decideremo se continuare per Col Lauson e sporgerci verso la Valsavaranche oppure deviare sulla destra per il Col della Rossa. A destra del rifugio riprendiamo la traccia dell’alta via n°2, sale gradualmente tra un mare di ondulazioni erbose che si contendono l’altopiano col letto del torrente che in diversi tratti, quelli pianeggianti, scorre placido diramandosi in decine di rivoli; sulla destra si fa sempre più vicina la Cresta del Lauson, davanti a chiudere la valle un arco di affilate guglie incise da diverse selle, sono montagne severe, spoglie, rocciose, poche le tracce di nevai, somigliano molto a qualcosa che si avvicina al concetto di deserto, altra caratteristica completamente diversa rispetto ai paesaggi cui siamo abituati delle Dolomiti. Lentamente senza che ce ne rendiamo conto raggiungiamo quota 2800, intanto in fondo alla valle iniziamo ad intuire una traccia ripida e serpentina che risale un ghiaione e che si infila (arrampicandosi) in una forchetta, immaginiamo trattarsi di una delle nostre mete, il Col Lauson. Raggiungiamo la biforcazione del sentiero per il Col della Rossa (+1.30 ore), dobbiamo prendere una decisione sulla destinazione; Marina la lascia tutta a me ed io non so perché decido per il Col della Rossa, senza un motivo razionale, forse rifiutando nell’inconscio la salita sul ghiaione che da più vicino era ancora più ripida e serpentina di prima. Col senno del poi forse avrei fatto una scelta diversa, i due ambienti erano del tutto simili, comunque da guadagnarsi a fatica su terreni ripidi e scivolosi, forse il Col Lauson poteva risultare un pelo più impervio ma di contro poteva essere più panoramico, ma è inutile piangere ora sulle scelte fatte prima. La salita al Col della Rossa, dopo alcuni lunghi traversi si fa molto ripida, soprattutto nella parte finale; circa a metà salita, per superare la corona della cresta, la traccia attraversa per la seconda volta un ruscello di scolo, stavolta però non esiste un bacino del ruscello, l’acqua scende in mille rivoli, si spande per una decina di metri tanto che per brevi momenti ci si viene a trovare su un ghiaione zuppo, non è un guado, l’acqua è tra le rocce, è come camminare sfiorando l’acqua. Da lì in poi e per i prossimi cento metri o poco più il sentiero si inerpica, si fa stretto, scorre tra un ghiaione detritico, è così ripido che a stento si riesce a non scivolare e dopo quasi 1600m. di dislivello saliti non è esattamente il massimo trovarsi a fare un passo avanti e mezzo indietro; in qualche maniera e ansimando svalichiamo e raggiungiamo la sella (+1.30 ore) dove termina la nostra salita e per il momento anche le nostra fatica. Una bella ampia sella, un omino davvero insolito campeggia al suo centro, il Col della Rossa intesa come vetta della cresta è lì accanto a un centinaio di metri o poco più, solo una trentina di metri sopra, con la serenità di chi vuole godersi il momento decidiamo di non arrivarci e ce la godiamo davvero tutta, peccato scuri nuvoloni si siano dati appuntamento contemporaneamente al nostro arrivo, sono alti ma stanno incupendo gli orizzonti. La sella è stretta, scende subito dentro un vallone ampio contenuto tra le creste del Lauson e della Forcia a destra e quella del Pouset a sinistra, all’interno scende il sentiero che attraverso i valloni di Pousset o della Vermiana raggiungono valle poco prima di Cogne. Paesaggio arido, duro, desertico anche questo. L’effetto è sempre lo stesso, la vastità del territorio non permette di posare l’occhio per cogliere i dettagli, è tutto grande e maestoso, è intrigante un tracciolino che traversa il ghiaione che abbiamo davanti che scende da Punta Rossa, sembra a due passi ma ovviamente non è così, sale e attraversa il breccione detritico fino a superare lo spigolo, come tutti i sentieri che si perdono dietro qualcosa smuove curiosità e prurito, peccato non ci sia tempo e che siano già tanti i1600m. da scendere a pomeriggio già inoltrato; peccato perché dietro quello spigolo e oltre la cresta che si vede più in là si spalanca la Grivola con i suoi bacini glaciali; da una parte la Grivola, dall’altra il Gran Paradiso, eccitante pensare di essere lì al solo pensarlo. Le nuvole che sembrano abbassarsi ancora e l’aria che sa di poggia ci spingono ad alzare le tende, ritorniamo indietro per la stessa via, precipitando nel primo tratto e tagliando il lungo traverso (su una minuscola traccia che avevamo perso in salita) quando ci avviciniamo al pianoro; un gregge di pecore e capre ci sbarra quasi la strada, lì dove il torrente si perde nella piana e disperde il suo corso in tanti rivoli, sono dappertutto, dentro, oltre e di qua del corso d’acqua; subiamo quasi un attacco da parte di una mamma capra quando trenta centimetri di capretta ci vede passare e si fionda belando verso di noi, inutile provare a cacciarla anzi il nostro incitarla ad andarsene ha solo insospettito di più la mamma, un richiamo perentorio ferma il cucciolo, una belata secca, diversa da quelle che siamo soliti sentire, fantastico, il tono da comando era intuibile anche da noi umani, il cucciolo si ferma, indugia, una seconda belata perentoria finisce per convincerlo ma come per fermare ogni velleità da parte di tutti la mamma abbassa la testa e fa come per caricarci, un passo ma quanto basta per farcene fare due per allontanarci, il misunderstenging si risolve immediatamente strappandoci anche un sorriso, ma il rischio di una testata sul fondoschiena l’abbiamo corso. Una birra al rifugio Sella non me la posso perdere (+2,15 ore), ci riposiamo prima di attaccare il resto della discesa, ci guardiamo a lungo intorno, consumo qualche scatto di troppo, di sicuro non credo sarà facile tornare d queste parti… Il rientro è veloce, pochi i tratti di risalita, precipitiamo a valle in 1 ora e mezza e le nuvole sono quasi sparite, le minacce erano dovute solo alla quota e alle ore pomeridiane, come sempre. Lunga questa escursione, notevole il dislivello superato e arrivare direttamente a “casa” non ha prezzo, domani ci sposteremo di versante, verso il lago di Loie, sopra le cascate di Lillaz, ci stiamo prendendo gusto.